Agli europei, i paesi mediorientali spesso offrono sentimenti contrastanti. L’Egitto amplifica queste impressioni.
Da un lato ci sono le città caotiche, soprattutto Il Cairo, stracolme di automobili che corrono in un traffico assordante di clacson, venditori da tutte le parti che, ostinatamente cercano di vendere qualsiasi cosa, e che chiedono mance per ogni motivo; povertà, vissuta dignitosamente e onestamente, ma che a noi europei risulta molto visibile.
Dall’altro lato, però, spiccano prepotenti, in ogni angolo, 5000 anni di Storia, precursori della Civiltà, incluso quella Greca.
Dalle maestose Piramidi di Giza ai templi imponenti di Luxor o Abu Simbel, ogni sito visitato è un tuffo nella grandezza della loro civiltà. E anche nostra, perché, che ci piaccia o no, anche noi arriviamo da li.
Il Cairo è come l’avevamo immaginata: un bordello assordante di traffico e persone, tra edifici fatiscenti alternati ad altri grandiosi.
Le vie con i marciapiedi disastrati, un’infinità di attività commerciali che si dipanano tra suq labirintici e corsi affollati di auto intente a strombazzare per ogni cosa.
Per la carità, con le sue non so quante decine di milioni di abitanti, ci sarà ovviamente di tutto, ma in ogni caso il centro ricorda molto Amman.
La moschea di Al Azhar con la sua università sono un punto di riferimento per il mondo arabo sunnita, tanto religioso come culturale. Bianca, tranquilla, col suo cortile lastricato che ne riflette geometrie ed armonie, con fedeli in preghiera e altri alla semplice ricerca di un po’ di quiete, ci ha regalato il momento più leggero della giornata.
Il suq è molto interessante: ci sono turisti, ma anche tanti abitanti, per cui rimane un mercato orientato alla popolazione locale.
Tanta polizia ovunque, assiepata in furgoni presenti in ogni slargo, armati e con le divise antidisturbo. Apparentemente incuranti di ciò che li circonda, non si sa siano lì per proteggere la gente o per proteggersi dalla gente. Non credo che ne avessimo mai vista così tanta.
Alla sera, siamo tornati in hotel un po’ frastornati e con la testa pesante, dopo tutto questo casino.
Ma in fondo era prevedibile.
Come spesso accade, e in Egitto ancora di più, non si va Giza per il suo quartiere ma per i 5 millenni di Storia che lo affacciano.
Le piramidi, imponenti e silenziose, e la famosa Sfinge, sono sicuramente affascinanti nonostante il caldo e i venditori.
La biglietteria si trova in una specie di capanna; a parte quello per accedere all’area, c’è un biglietto singolo per ogni piramide in cui si voglia entrare. Un’opzione alquanto insolita, ma comune a tutti i siti archeologici egiziani. Decidiamo di optare per la semplice entrata al sito: introdursi nelle piramidi sarebbe un capriccio troppo claustrofobico per i nostri gusti. Per altro, all’interno non c’è molto da vedere.
Non appena entrati, veniamo sequestrati da uno dei vari addetti (o almeno presunto tale), che ci dice che, nonostante ci trovassimo a due passi dalla Sfinge e dalla piramide di Cheope, dobbiamo assolutamente prendere un calesse per andare al punto panoramico in fondo alla strada, perché la visita inizia da lì per poi procedere in senso contrario. Già preavvisati di questo genere di “inviti”, gli diciamo gentilmente che no, che inizieremo dalle cose vicine, e che poi ci arrangeremo per conto nostro. Ma niente da fare, ripete che bisogna prendere il calesse. Gli ripetiamo di no, grazie, non ci serve. Lui insiste, non una, ma almeno altre tre volte, finché non si rassegna alla nostra presunta incompetenza e se ne va contrariato.
Il sito di Giza, ad ogni modo, è all’altezza delle aspettative. Davanti a tanta grandezza e Storia, ci si rende conto di quanto piccola è la vita di tutti i giorni
C’è gente ma non troppa, non è difficile lasciar passare i gruppi. Le piramidi sono imponenti anche sotto il sole di mezzogiorno e le distanze tra di esse non eccessive. Ad ogni passo c’è sempre qualcuno che insiste per portarci in calesse o dromedario, e che ogni volta siano necessari almeno cinque rifiuti netti, prima che rinunci. Ê una costante alla quale ci si deve abituare.
Nel pomeriggio il sito era decisamente meno affollato e si poteva passeggiare con serenità. Anche la temperatura tornava a essere piacevole. Abbiamo girovagato, passeggiando anche nel deserto fino al punto panoramico, dal quale si ha una vista realmente pazzesca sulle tre piramidi, con tanto di dromedari. Era come trovarsi dentro a una di quelle litografie di epoca napoleonica, o in quelle foto di inizio Novecento. Uno di quei momenti che da soli valgono il viaggio. Nulla era cambiato negli ultimi 300 anni.
Come accennato in precedenza, non siamo entrati nelle piramidi causa claustrofobia. Ad ogni modo, la cosa più grande è trovarsi li, ai piedi di edifici di 5000 anni di Storia. Immaginarsi la costruzione, la gente che le ha circondate, le sepolture di personaggi che hanno fatto la Storia... La Sfinge è effettivamente più piccola di quello che immaginavamo, ma il paesaggio complessivo è comunque incredibile.
Siamo tornati al Cairo con un taxi locale; è stato più adrenalinico di un parco di divertimenti, per un prezzo molto inferiore. Pazzesco come non ci siano incidenti mortali ogni tre secondi. Giuro che almeno tre motociclisti me li sono visti in braccio! Eppure, siamo arrivati all’hotel sani e salvi.
Il Cairo è davvero una città caotica e snervante, con un traffico incredibile ed edifici malandati. Poi basta andare a cena in un hotel internazionale e di colpo si è in un’oasi di pace, con ristoranti, boutique e pianobar, come in un film ambientato in epoca coloniale.
È veramente difficile abituarsi ai contrasti di queste terre.
Escursione a Saqqara, Menfi e Dahshur.
Escursione abbastanza stancante, tutta sotto il sole. Non fa poi chissà che caldo, ma è secchissimo e non c’è un filo d’ombra.
Non sapevamo che oltre al biglietto che da accesso al sito, ci sono anche una serie di tickets separati. Oltretutto, a volerli comprare tutti, si spenderebbe una fortuna, per cui bisognerebbe arrivare con le idee chiare su cosa si vuole visitare. Si finirebbe per comprare a scatola chiusa, mentre invece sarebbe bello poter decidere di volta in volta. A questo si aggiunge che la biglietteria è decisamente lontana dal sito, per cui una volta entrati è di fatto impossibile tornarci.
Così, ci siamo trovati a dover corrompere i vari custodi in modo che ci lasciassero entrare nei posti che ci interessavano. Si arrivava con l’aria un po’ ingenua e, quando ci dicevano che ci voleva un biglietto specifico, si faceva espressione stupita e si chiedeva se non si potesse comprare da lui. Ci chiedeva qualche soldo e ci lasciava passare. Non ci piacciono molto queste cose, ma va detto che sono servite.
Ad ogni modo, il sito di Saqqara si presenta molto interessante. Dal posteggio si ha una bella prospettiva sulla cinta muraria che lo circonda. Ci si accede per un colonnato molto suggestivo, che porta ad una spianata assolata dove prospetta la piramide Djoser, con la superfice a gradoni, non liscia come le altre, dato che è più antica e la tecnica non era ancora stata perfezionata. Non è grandissima, però fa sicuramente effetto, complice anche lo scarso numero di visitatori. Si può dire che emani la sua energia.
A differenza delle altre, presenta un tunnel di accesso posteriore molto ampio, adatto a tutti, e così abbiamo potuto entrarci. Era la prima volta che avevamo modo di entrare in una di queste costruzioni, ed eravamo emozionati; anche se il tunnel non è molto lungo e non ha decorazioni, ci ha comunque regalato l’emozione di trovarci letteralmente dentro a millenni di Storia.
Noi ci siamo limitati alla tomba di Maya, rinvenuta nel 1986, dove vi era sepolto questo personaggio di alto riguardo incaricato di riscuotere le tasse.
Per arrivarci bisogna seguire un sentiero in mezzo al deserto, e più volte ci siamo chiesti se non avessimo sbagliato strada. Arrivati alla tomba, siamo entrati in questo bellissimo ambiente, adornato con graffiti e dipinti, tra cui uno che ritrae lo stesso Maya. Era la prima volta che visitavamo una tomba, e l’emozione è stata forte: si viaggia letteralmente indietro nel tempo.
Nel pomeriggio, l’autista ci ha accompagnato alle due piramidi di Snefru: quella rossa e quella romboidale.
La prima presenta un lungo corridoio ascendente di 65 metri, da percorrere accovacciato, che conduce a due camere e a una stanza sepolcrale. Non c’è molto da vedere, ma l’emozione di emulare Indiana Jones è assicurata, anche se il tunnel è davvero impegnativo, soprattutto in salita.
Infine, siamo andati dove sorgeva Menfi, la capitale del Basso Egitto. Non ne rimane nulla, ma in un museo è custodito il colosso di Ramesse II, di 10 metri, custodito coricato.
Di ritorno al Cairo, ci siamo fermati a pranzo in un improponibile ristorante dove vanno tutte le comitive turistiche, molto spartano ma con un’eccellente carne alla griglia.
Da buoni torinesi, avendo in casa il secondo museo egizio più grande al mondo, era da tantissimo tempo che sognavamo di entrare nel primo, quello del Cairo.
Nonostante la ressa e la mancanza di climatizzazione, ne vale sicuramente la pena. Diciamo che il museo stesso sembra uscito dall’Ottocento, con quelle teche in legno, i vetri sporchi e uno strato spesso di polvere che copre i reperti esposti. Però è senza dubbio imperdibile.
Alcuni reperti sono già stati spostati nel nuovo museo di Giza, che si preannuncia davvero una struttura modernissima; la maggior parte però rimane nel vecchio spazio espositivo, che rimane una tappa obbligata.
Tantissimi i reperti che hanno attirato la nostra attenzione.
Tra questi, questa statua che raffigura Ramses II, uno dei faraoni più potenti e iconici della storia egiziana. Il faraone è rappresentato in piedi, con un aspetto regale e fiero. Indossa il caratteristico copricapo nemes a strisce, sormontato da una doppia corona che simboleggia il dominio su Alto e Basso Egitto. Al centro del copricapo si può notare l'ureo, il cobra reale, simbolo di protezione divina e potere sovrano. Le caratteristiche del viso, come il naso pronunciato e le labbra ben definite, rispecchiano lo stile classico delle rappresentazioni faraoniche che tende a idealizzare le sembianze del sovrano, accentuando il suo aspetto divino e sovrannaturale. Sulle spalle e sul petto si intravedono iscrizioni geroglifiche, che spesso riportano il nome del faraone e titoli onorifici. Questi dettagli testimoniano il ruolo sacro del faraone, visto non solo come leader politico ma anche come figura divina, mediatrice tra gli dèi e il popolo egiziano. Questa statua probabilmente proviene da un tempio e serviva a sottolineare la presenza del faraone anche in assenza fisica, garantendo una protezione spirituale.
Un vero capolavoro dell'arte egizia, questa tavoletta è testimone di una delle più antiche civiltà della storia. Osservare da vicino questo reperto significa fare un viaggio indietro nel tempo, fino alle radici della cultura e del potere egizio
Osservare questo volto è come immergersi nella storia millenaria dell’Egitto, un regno di faraoni e divinità che ancora oggi affascina il mondo.
Trovarsi di fronte a questo capolavoro è come fare un salto indietro nel tempo, in un’epoca in cui i faraoni governavano come intermediari tra gli dèi e il popolo. Un pezzo straordinario che incarna la grandezza e il mistero di una civiltà millenaria
Usciti dal museo, siamo passati in hotel a prendere i bagagli e, con un’altra tormentata corsa in taxi, siamo andati alla stazione centrale per prendere il treno notturno verso Luxor. Eravamo alquanto dubbiosi su questa scelta: se ne leggeva un po’ di tutto, e non sempre bene.
Il treno sembrava uscito dagli anni ’80 e forse lo era veramente. Non era sporco e la cena era dignitosa. C’era una carrozza di militari armati all’inizio e una alla fine del convoglio. Lo scompartimento a fianco era occupato da un gruppo di cinesi parecchio rumorosi. Gli ammortizzatori tra le carrozze erano di fatto inesistenti, per cui era impossibile non notare ogni volta che si partiva o ci si fermava. Ad ogni modo, siamo arrivati a Luxor.
Alla fine, a Luxor siamo arrivati: un po’ sballottati, un po’ insonni, un po’ in ritardo, ma arrivati.
La sistemazione è bella: una piccola villetta nella campagna, tranquilla e ben curata, fresca a spaziosa. Quattro stanze gestite da un gruppetto di persone che potrebbe essere uscito da un film: Mohammed, il responsabile, Ibrahim, un ragazzo tuttofare, e un autista per scorrazzare gli ospiti. Si trova in paesino di agricoltori dalle strade in terra battuta, attraversato da canali d’irrigazione. Fuori mano, ma piacevole e rilassante.
Preso possesso della stanza, ci siamo fatti accompagnare al complesso monumentale di Karnak. Avremmo voluto comprare il pass che da accesso a tutti i monumenti, ma non ci siamo riusciti perché una delle banconote aveva un piccolo scarabocchio e non l’hanno accettata.
Ad ogni modo, il tempio di Karnak è favoloso, soprattutto per lo stato di conservazione tanto delle strutture come dei colori. Affollato ma non troppo. Fiore all’occhiello, la grande sala ipostila conta 134 colonne, e pare una spettacolare selva di giganteschi papiri; quelle della navata centrale misurano la bellezza di 23 metri.
Alla fine, abbiamo trovato un ristorantino tipico con una terrazza fresca, dove abbiamo pranzato e ci siamo riposati in attesa che aprisse il museo cittadino.
Si tratta di un piccolo museo, ma climatizzato, poco affollato e ben curato. Poche sale ma che consentono di apprezzare al pieno i reperti esposti.
Usciti appena in tempo per goderci un fantastico tramonto sul Nilo (il primo di una lunga serie), ci siamo fatti venire a prendere dall’autista dell’Hotel e abbiamo cenato lì, stanchi morti.
Oggi abbiamo visitato la Valle dei Re e alcuni dei siti della zona orientale.
Di primo mattino, ci siamo recati a piedi ai colossi di Memnone. Si tratta di due statue alte più di 16 metri, che rappresentano il re Amenhotep III. Nel 27 a.C. un terremoto provocò in una delle due statue una fenditura che, all’alba, quando la pietra si seccava dall’umidità notturna, emetteva un suono simile alla vibrazione della corda di una chitarra. Da lì nacque la leggenda secondo la quale la statua rappresentasse Memnone, che ogni mattina salutava sua madre Aurora. Le due statue formano parte di un vasto tempio funerario, ancora però sotto scavo.
Sulla carta si tratta di soli trenta minuti a piedi, però abbiamo presto compreso che muoversi da un posto all’altro è abbastanza faticoso, sia per il sole che picchia già alle 10 del mattino, sia perché si cammina quasi sempre per zone sperdute. Oltretutto, la biglietteria per questi siti è seminascosta e lontana da tutto, e noi l’abbiamo beatamente ignorata nonostante un taxista ci gridasse le indicazioni.
Arrivati al Ramesseum, siamo così stati costretti a tornare mestamente indietro a comprare i biglietti. Abbiamo quindi iniziato a usare di più i taxi, che costano poco e si trovano facilmente; più correttamente, loro trovano facilmente noi, dato che basta che si inizi a camminare e subito qualcuno offre un passaggio. La cosa più difficile è far capire al taxista di aver semplicemente bisogno di una corsa singola, e non di una guida per l’intera giornata…
Il tempio funerario di Ramesse II conserva ancora tracce dell’antico splendore, nonostante sia stato usato come cava. Al suo interno vi sono i resti di una grande statua, ormai caduta e fratturata, che ispirò a Byron un’elegia sulla futilità del potere terreno. Il sito è molto vasto, ed è comunque un piacere esplorarlo.
La prima tomba in cui siamo entrati è stata quella di Tutankhamon, la più famosa, anche se la fama si deve soprattutto al favoloso tesoro esposto al Cairo che non alle decorazioni presenti in situ, abbastanza modeste dato che il faraone morì giovane e rapidamente, per cui ci fu poco tempo per prepararne la tomba. La sua mummia ad ogni modo continua a riposarvici.
Il fiore all’occhiello della valle, però, sono le altre tomre. Oltretutto, in molti casi ci è capitato di restare da soli nelle tombe, ed è un’esperienza indimenticabile. Molte sono ricche di ornamenti, con dei colori così nitidi che pare impossibile siano vecchie di millenni.
I dettagli delle pitture sono affascinanti: colori vivi che, dopo millenni, ancora ci parlano della maestria degli artisti egizi e della profondità delle loro credenze religiose. Ogni simbolo, geroglifico e postura racconta una storia di viaggio nell'aldilà, di speranza e di eterna connessione con il divino.
Un capolavoro che rende omaggio alla grandezza dell’Antico Egitto e lascia senza fiato chiunque abbia la fortuna di ammirarlo.
Ogni figura, con i suoi gesti solenni e simbolici, incarna il legame profondo tra l'uomo e il divino, un viaggio verso l'eternità in cui la regalità egizia cercava la protezione e la guida degli dèi nel regno dell'aldilà.
Un luogo dove il passato sembra prendere vita, e il fascino dell'Antico Egitto ci avvolge con il suo mistero
La sorpresa è stata un ristorantino situato davanti all’ingresso. Un locale estremamente rustico, ma che offriva una fresca ombra e dei buoni piatti, nonché il miglior caffé espresso di tutto l’Egitto. Nei giorni successivi è diventato il nostro punto di riferimento, essendo anche relativamente vicino all'hotel.
Di ritorno a “Villa Hatshepsut”, abbiamo attraversato il villaggio, formato da casette basse in mezzo a vicoli in terra. Tutto molto tranquillo. La gente è sempre un po’ insistente, ma ci si abitua. Più che altro, siamo davvero gli unici stranieri a camminare su queste vie, per cui ci notano proprio tutti.
Oggi abbiamo visitato altri templi e tombe: la valle delle Regine, Hatshepsut, il tempio di Luxor…
Abbiamo continuato ad usare i taxi per i vari spostamenti: costano poco e ci evitano lunghe camminate sotto il sole.
Le visite sono sempre interessanti. Molti dei posti visitati oggi sono stati scoperti da Schiapparelli, il fondatore del museo egizio di Torino. Fa effetto pensarci, essendo noi di proprio di Torino
La valle delle Regine è spettacolare. Consta di un’ottantina di tombe, alcune incompiute, altre deteriorate, altre ancora saccheggiate; quelle integre, però, mostrano pitture accurate e ricche di dettagli. La più belle di tutte sarebbe quella di Nefertari, peccato solo che da marzo 2024 sia chiusa al pubblico. Doveva essere meravigliosa.
Prima di cena abbiamo visitato il tempio di Luxor, aperto fino a tardi. È stata l’unica visita notturna di tutto il viaggio, dato che i siti chiudono inspiegabilmente presto, attorno alle 17. Peccato, perché col fresco della sera e l’illuminazione appropriata, dev’essere stupendo. Infine, siamo tornati all’hotel.
Il paesino in cui alloggiamo è molto carino. Hanno strade in terra e pochi abitanti, in mezzo alla campagna che fiancheggia il Nilo. La gente saluta ma senza voler vendere nulla. C’è anche un ristorantino piacevole poco lontano.
Il gestore (o proprietario) dell’hotel ci ha raccontato che sta facendo dialisi, e che ha bisogno di un trapianto di rene ma che in Egitto la sanità non è pubblica e il trapianto costa 150.000 €! È incredibile. E se non ce li hai, rimani senza. Noi europei siamo molto fortunati, e spesso non sappiamo apprezzarlo.
Questa mattina abbiamo visitato il Tempio di Dendera, situato a circa un'ora a nord di Luxor. È uno dei complessi templari meglio conservati dell'antico Egitto, dedicato alla dea Hathor, divinità dell'amore e della fertilità.
Il tempio è famoso per le sue colonne massicce e le intricate decorazioni, che includono rappresentazioni di Cleopatra VII e di suo figlio, Cesarione. Inoltre, il complesso ospita una copia del famoso Zodiaco di Dendera, un antico rilievo astronomico il cui originale si trova al Museo del Louvre a Parigi.
Essendo stato ricostruito in epoca tolemaica e poi ancora in quella romana, il tempio è relativamente recente rispetto alla media, il che contribuisce alla sua buona conservazione. Purtroppo, le decorazioni non sono altrettanto ben conservate, ma il sito rimane comunque interessante.
Nel pomeriggio avremmo voluto fare una passeggiata verso il Nilo. Alloggiamo in un paesino di agricoltori sul lato occidentale del fiume. Senza turisti, il villaggio offre uno spaccato autentico della vita egiziana. Molte case hanno forni tradizionali nei cortili, oltre a capre e altri animali. Le strade sono quasi tutte di terra, e il villaggio è attraversato da un intrico di rogge. Purtroppo, l'illuminazione pubblica è quasi inesistente e quindi, con il tramonto imminente, abbiamo dovuto rinunciare alla nostra passeggiata.
Oggi abbiamo iniziato la crociera sul Nilo. Il gruppo è molto ristretto: siamo una decina di passeggeri a fronte di una dozzina di membri dell’equipaggio. La stanza è davvero bella, anche se purtroppo il generatore che alimenta l’aria condizionata viene acceso solo durante gli spostamenti e un paio d’ore dopo cena. I pasti sono a buffet e buonissimi, così come i dolci. Gli altri compagni di crociera sono tutti di lingua inglese.
Navigare sul Nilo è piacevolissimo. La costa a sud di Luxor è sostanzialmente disabitata, tranne piccoli villaggi di contadini, per cui ci si muove in silenzio tra le sponde verdi di vegetazione e le colline desertiche subito dietro. Il miracolo di un fiume grandissimo che taglia uno dei deserti più vasti al mondo: sembra un racconto fantasy, eppure il Nilo è proprio questo, e lo è da 5 mila anni.
È tutto molto rilassato, anche i ritmi di viaggio, anche se è un po’ una seccatura, per noi, non essere indipendenti e dover sottostare ad orari decisi da altri.
Al mattino, abbiamo visitato il Tempio di Esna. Situato nella città di Esna lungo le rive del Nilo, è uno dei tesori meno conosciuti dell'antico Egitto. Questo tempio è dedicato a Khnum, il dio dalla testa di ariete, considerato il creatore e il dio della fertilità. Le colonne della sala ipostila, alte 13,30 metri, sono decorate con rilievi che dettagliano le feste del calendario sacro di Esna.
Il tempio è decorato con rilievi dettagliati che rappresentano scene religiose, mitologiche e astronomiche. Alcuni dei rilievi più notevoli includono la processione delle barche solari e la festa annuale di Opet
Navigare sul Nilo è un po’ come viaggiare su un treno lento, che ti permette di godere del paesaggio. Questo viaggio da nord a sud, entrando sempre più nell’Africa, consente di apprezzare i lenti cambiamenti dell’ambiente circostante. La carnagione della gente si fa sempre più scura e i lineamenti più africani. Le rive sono sempre meno abitate, circondate da vegetazione e qualche sparuto villaggio. Il Nilo diventa sempre più grande, con questo paradosso tutto suo di un fiume che parte con più acqua di quanta ne abbia alla foce. Non abbiamo mai visto un fiume così grande, è davvero una distesa d’acqua.
È affascinante osservare il Vicino Oriente trasformarsi in Africa poco per volta. Continuiamo a visitare templi, tombe e ad assistere a spettacoli. Oggi, ad esempio, ci siamo fermati in un villaggio e siamo usciti in barca assieme ai pescatori per vedere le loro tecniche; in pratica, prima stendono una rete lungo un tratto del fiume e poi spaventano i pesci in modo da farceli entrare. Abbiamo anche assistito alla preparazione del pane in un forno tradizionale di fango essiccato. Tutto molto interessante.
E comunque questo andamento lento è affascinante.
Altro giorno di navigazione. Il Nilo continua a regalare paesaggi sempre più autentici, dove la presenza umana è comunque nascosta lontano dalle rive.
Al mattino abbiamo visitato un piccolo villaggio situato su di un’isola del fiume, con le vie in terra e la gente vivendo di agricoltura e allevamento. Le case sebbene siano povere e in mal stato, sono pulite e ben tenute. C’è persino una piccola scuola, con un’unica classe per tutti i bambini. La gente appare effettivamente povera ma molto dignitosa.
Ultimo giorno di navigazione. È stato rilassante vedere l’Egitto da una dahabiaya, una delle imbarcazioni tipiche. L’approccio è completamente differente da quando giriamo per conto nostro. Qua ci si porta dietro il proprio hotel personale, in cui per altro eravamo solo in nove, completamente serviti. Si esce per escursioni mirate, dove si ammirano le bellezze archeologiche senza il peso delle camminate e lo stress. Si fanno anche visite a famiglie, mercati e pescatori, ma sempre in totale confort. Una sensazione totalmente differente, visto dalla dahabiya.
Al mattino abbiamo visitato il tempio di Kom Ombo.
Il Tempio di Kom Ombo, situato nella città di Kom Ombo nell'Alto Egitto, è un tempio unico nel suo genere. Costruito durante la dinastia tolemaica tra il 180 e il 47 a.C., il tempio è noto per la sua struttura "doppia" che ospita due santuari simmetrici dedicati a due diverse triadi di divinità.
La parte meridionale del tempio è dedicata a Sobek, il dio coccodrillo della fertilità, insieme a Hathor e Khonsu. La parte settentrionale, invece, è dedicata a Haroeris (Horus il Vecchio), Tasenetnofret e Panebtawy. Questa simmetria si riflette in ogni aspetto del tempio, dai cortili alle sale, fino ai santuari stessi.
Il tempio è famoso anche per i suoi rilievi e testi che descrivono liturgie cultuali e scene di vita quotidiana. Un particolare interessante è la rappresentazione di strumenti chirurgici su una delle pareti interne
Nonostante i danni causati dal Nilo, dai terremoti e dall'uso delle sue pietre per altre costruzioni, il tempio conserva ancora gran parte del suo fascino antico. Nelle vicinanze si trova anche il Museo del Coccodrillo, che espone alcune delle mummie di coccodrillo scoperte nella zona.
Alla sera abbiamo fatto tappa su di una piccola spiaggia sabbiosa, dove abbiamo fatto il bagno nel Nilo e osservato la fauna locale.
Quasi al termine del nostro viaggio, Assuan ci accoglie con il suo fascino unico. Questa città di confine, cresciuta grazie al turismo, mostra un carattere che ricorda le città subsahariane viste in televisione. Le strade in terra e sabbia e l’aspetto vissuto degli edifici raccontano una storia di autenticità e vita quotidiana. Il lungofiume conserva il suo fascino, offrendo scorci suggestivi. Anche l’isola di Elefantina, pur essendo molto turistica, emana un fascino rustico con i suoi vicoli sabbiosi e le case tradizionali.
Ci sono alcuni hotel lussuosi, integrati armoniosamente nel contesto locale, creando un contrasto affascinante. Noi abbiamo scelto una pensione sul lato occidentale, con una vista incantevole sulla città. Arrivarci con il traghetto, condividendo il viaggio con i locali, è un'esperienza unica che aggiunge autenticità al nostro soggiorno. Una volta sbarcati, la vegetazione cede rapidamente il passo alla sabbia del Sahara, creando un panorama mozzafiato.
La pensione, sebbene modesta, è accogliente. La nostra stanza è nuova e il bagno, sebbene esterno, è a uso esclusivo. Il gestore, pur parlando poco inglese, è sempre disponibile e gentile. Anche se ci sono sfide come la vista sulle case meno curate e qualche piccolo inconveniente come le formiche, ci siamo adattati e godiamo dell'atmosfera autentica del luogo. Il vicino minareto ci ricorda le preghiere del venerdì, un tocco culturale che arricchisce la nostra esperienza.
Non possiamo negare che la povertà del Paese ci abbia sorpreso, ma il viaggio ci ha offerto preziose lezioni di umiltà e gratitudine.
Abu Simbel è davvero spettacolare, ben oltre le aspettative. Già di per sé, un lago lungo 300 km nel cuore del deserto è qualcosa di unico.
La maestosità dei due templi è davvero unica. Le statue di Ramesse II sono imponenti e severe, e l’interno del tempio non è da meno.
Il viaggio, seppur lungo, è un bel tragitto in mezzo al deserto.
Nonostante siano le enormi statue della facciata a concentrare tutti gli sguardi, anche l’interno è estremamente maestoso, con questa sfilata di otto colossi di quasi 10 metri raffiguranti Osiride con i lineamenti di Ramesse II.
Alla sera abbiamo girato il suq, ed abbiamo comprato una statua di Bastet che peserà almeno 10 chili. Per altro, solita contrattazione di almeno mezz’ora con il venditore. La statua è carina, però in un primo momento avevamo dubbi. Dobbiamo ammettere però fa la sua bella figura in sala.
Ultimo giorno in Egitto.
Questa mattina abbiamo visitato il tempio di File, nel bacino della vecchia diga. Ci si arriva in barca, dopo una breve corsa in taxi. In realtà, anche questo tempio al pari di Abu Simbel è stato spostato, in quando l’isoletta di File è stata coperta dall’acqua già a seguito della costruzione della prima diga.
Il paese dove alloggiamo, all’opposto, sembra un presepe: le casette piccole, rettangolari, con qualche piccola cupola. Le strade di sabbia. Le dune subito dietro. A volte anche i dromedari. È perfetto.
Cosa ci porteremo dell’Egitto?
L’addentrarsi in Africa, dando un’occhiata oltre il Magreb, i villaggi nella periferia di Luxor e di Assuan che sembrano usciti da un documentario, il caos delle città stracolme di automobili che non fanno altro che strombettare, un continuo rumore di sottofondo, l’insistenza della gente che ostinatamente cerca di vendere qualsiasi cosa, e che chiede una mancia per qualsiasi cosa. E poi sì, la Storia millenaria.